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Sport

Calciomercato, 3 modelli di articoli giornalistici pronti per l’uso

Cari giornalisti sportivi, cari redattori pagati a parole, cari stagisti costretti a lavorare gratis, l’estate è un periodo convulso per il calcio, lo sapete e lo sappiamo bene tutti.
Terminati i campionati e le coppe e in assenza di Europei e Mondiali, il racconto quotidiano del calcio subisce una battuta da arresto. E adesso, cosa raccontiamo? Ma come, c’è il calciomercato!

Già dalle prime ore che seguono la stagione ufficiale, ecco che il gran circo si rimette in moto, sempre uguale a se stesso: via ai grandi proclami, annunci di scambi clamorosi, retroscena insospettabili, la rivelazione delle mezza verità.
Del resto ci sono da occupare intere pagine di giornali e macinare pagine viste dalla metà di giugno alla fine d’agosto. Più di 70 giorni di nulla.

Tutti, nessuno escluso, la mattina si svegliano con un solo obiettivo: trovare una notizia, una qualunque, e vestirla da scoop dell’estate.
Va bene qualsiasi cosa: basta anche un voce non confermata, un “sentito dire” da piazza di paese. L’importante è scrivere un articolo, una maledetta cartella che giustifichi il proprio lavoro. Poi domani si vedrà.

E allora mi è venuta voglia di fare un regalo a questi piccoli martiri laici di un giornalismo fatto di quantità e di gare a chi la spara più grossa.

Ecco 3 articoli già pronti, agili per il web ma adatti anche alla carta, pronti per ogni evenienza da copiare-incollare per fare felice il proprio caporedattore.
Basta solo cambiare quelle due o tre variabili e il gioco è fatto: l’articolo-tipo per il calciomercato è servito! Facile, eh?

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Social network

Social media editor: oltre al tweet c’è di più

Se vi dico Social Media Editor cosa vi viene in mente? Sono certo che se ponessi questa domanda qualche dirigente (anche di aziende medie e grandi) il più delle volte sentirei risposte come: “E’ il ragazzo che rilancia i nostri comunicati su Twitter e Facebook”.
In realtà questa semplificazione banalizza il lavoro del Social Media Editor, ruolo che sta diventando sempre più centrale all’interno delle aziende.

Jeremy Stahl, Social media editor del sito Slate dal lontano (!) 2010, aveva dichiarato: [blockquote source=”Jeremy Stahl, Social media editor di Slate”]Twitter e Facebook sono diventati strumenti molto più potenti per ottenere traffico verso i siti ed è quindi fondamentali sfruttarli al meglio per migliorare la qualità del traffico del sito e la soddisfazione dei lettori.[/blockquote].

Non è possibile dare una definizione esaustiva del Social media editor, un ruolo che deve adattarsi al contesto dentro al quale è inserito. In alcuni casi, il Social Media editor si occupa di creare e far crescere nuovi canali comunicativi, in altri casi è impegnato a monitorare le menzioni del Brand per il quale lavora sui social media e si inserisce all’interno delle conversazioni.

DigiDay ha deciso di contattare alcuni Social media editor selezionati a partire dalla realtà in cui lavorano: alcuni di loro fanno parte di staff editoriali di testate storiche, altri invece sono inseriti in contesti nati negli ultimi anni e che svolgono la loro attività solo in rete. Lo scopo è quello di sfatare alcuni “miti” relativi alla figura del Social media editor.

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Numeri & dati Web

Italiani e infomazione online: scenari comunicativi in evoluzione

Ho letto recentemente la ricerca condotta da Liquida con la collaborazione di Human Highway.
L’oggetto è l’analisi dell’impatto dei blog nell’informazione di attualità e il rapporto con i mezzi di comunicazione tradizionali.

Il campo di indagine è interessante quanto attuale poichè si spinge ad esplorare un territorio fertile per le ibridazioni di consumo mediale. Mai come di questi tempi la fusione tra flussi informativi online e offline è legata da dinamiche in continua evoluzione. Fonti digitali e analogiche convivono in un ecosistema unico, alimentandosi e modificandosi reciprocamente, alla ricerca continua di autorevolezza.

Dalla ricerca emergono dati interessanti sullo scenario italiano. Il 10% della popolazione online, circa 2,3 milioni di persone, legge abitualmente blog che scrivono di attualità. Di questi un terzo dichiara di di informarsi solo attraverso i blog, tanto da preferirli ad altri siti editori presenti sul web.
Da sottolineare un aspetto importante: chi sceglie quotidianamente di leggere i blog lo fa in modo esclusivo rispetto all’opzione cartacea.

Ecco quindi che si delinea un nuovo palcoscenico: per alcuni utenti, i più assidui nella lettura, ai blog è riconosciuta la capacità di influenzare l’opinione pubblica quanto canali ben più istituzionali, a partire dalla classica informazione cartacea fino ad arrivare alle più recenti edizioni online delle testate nazionali.

La capacità di influenzare l’opinione non arriva, tuttavia, a scalfire la credibilità dei quotidinai tradizionali, i quali rimangono punti di riferimento importanti anche tra gli stessi blogger e i lettori di blog.
L’autorevolezza del blog è determinata, ovviamente, dall’identità della persona che ne cura i contenuti.
Un mutamento nella scelta delle fonti è quindi in atto: se nel caso dei quotidiani (online e offline) la garanzia di autorevolezza è conferita dal prestigio della testata (un articolo del Corriere della Sera o de La Repubblica è autorevole per il solo fatto di essere stato pubblicato), nel caso del blog la testata e l’autore non sono scindibili e crescono di pari passo.

Dalla ricera emergono due direttrici:

  1. I lettori di quotidiani cartacei ripongono più fiducia nelle informazioni riportate dalla carta stampata.
  2. I lettori che leggono solo blog considerano questi ultimi più autorevoli dei canali tradizionali

Da queste considerazioni emerge quindi che una vera osmosi tra l’informazione istituzionale e quella presente sui blog non si è ancora verificata.
Sostanzialmente, ognuno continua ad attribuire importanza alle fonti che è abituato a leggere da sempre, non mostrando propensione al contagio tra i due canali.
Forse ci vorrà ancora del tempo perchè i due modi di fruire l’informazione possano mutamente intersecarsi.

Sembra però chiaro che il fattore abilitante di questo processo sarà la qualità. Più elevata (e riconoscibile) sarà e più la linea che separerà i due modi di fare informazione sarà impercettibile.
Esistono già esempi noti di questo fenomeno: firme note del giornalismo cartaceo/tradizionale si stanno affermando come autorevoli blogger capaci di raccogliere un ampio sostegno.

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Web

IabForum 2009: chi paga il contenuto online? Tante ipotesi, qualche certezza, poche idee

IAB-logoAnche quest’anno Milano ha ospitato l’edizione dello IAB Forum, l’evento forse più importante dedicato all’evoluzione dei media in relazione all’advertising online.
Non mi sento di dare un giudizio complessivo sulla manifestazione: su due giorni ho partecipato fisicamente solo all’ultimo appuntamento in agenda ieri pomeriggio, organizzato da Banzai.

Il titolo dava spazio a interessanti riflessioni, sicuramente molto attuali : “Chi paga il contenuto? L’UCG ed il sistema economico dei media”.
Tavola rotonda abbastanza qualificata ed eterogenea: Paolo Ainio (presidente di Banzai), Lorenzo Pelliccioli (AD di De Agostini), Luca Sofri (giornalista e blogger), Tommaso Tessarolo (Country Manager Current TV), Vittorio Zambardino (giornalista di Repubblica) e Luca Conti (giornalista e blogger). A tirare le fila Gad Lerner, digiuno di cultura digitale ma volenteroso di capirci un po’ di più.

Sarò sincero: mi sarei aspettato maggiori spunti costruttivi dal panel, magari con qualcuno dei presenti che osasse anche solo abbozzare uno scenario futuro. Ancora una volta – forse giustamente, non so – il discorso è ricaduto sul ruolo della pubblicità a sostentamento del business online, limitando il focus degli interventi al solo settore dell’editoria digitale. Voglio propropoppre ugualmente qualche considerazione:

  • L’arretratezza dell’Italia rispetto ad altre realtà digitali è ormai noto da tempo. Purtroppo sento ancora spesso che la soluzione è diminuire il gap cercando di importare le eccellenze sviluppate altrove, vale a dire rassegnarsi al fatto che l’Italia non è in grado di “produrre” innovazione. L’approccio, però, è incompleto. Un’affermazione di questo tipo non tiene conto del nostro contesto culturale, politico e demografico non raffrontabile con Paesi all’avanguardia in questo campo. Manca il mindset adeguato, condiviso e distribuito. Non la volontà di fare. Semplicemente vogliamo guardare avanti con gli occhi piazzati dietro alla schiena.
  • Business e oline. Un business model che abbia come revenue solo incoming pubblicitario non è sufficiente, di per sè, a sostenere il business stesso. L’esempio citato in conferenza, quello di  huffingtonpost.com in realtà non è comparabile. Ha costi di struttura e di gestione completamente diversi da quotidiani nati su carta e migrati (parzialmente o totalmente all’online)
  • Vecchi e nuovi modi di pensare. Nel mondo digitale occorre ragionare per nuovi paradigmi. L’errore più comune è quello di pensare l’innovazione come un avazamento/evoluzione o di mercati già strutturati. Ho trovato interessante, a riguardo, la riflessione di Sofri: “Pensare l’approccio dell’editoria all’online come un adattamento degli schemi dell’editoria classica sarebbe come pensare come preservare i cavalli quando alla fine dell’800 si cominciò ad usare il treno per gli spostamenti”. Il, quindi, parte dalle basi, sdradicando certezze fino ad ora inattaccabili. Come l’ordine dei giornalisti ad esempio, che per sua stessa strutturazione non ammette permeabilità intellettuali. Pelliccioli ha sentenziato in modo chiaro:Il giornalismo deve ripensarsi. Non è possibile concepire che una corporazione professionale possa essere aperta al cambiamento”. Su questo la pensa alla stessa maniera anche Zambadino.
  • Tema UCG e qualità. Anche qui Nihil novum sub sole. L’apertura della partecipazione attiva delle community nel settore dell’informazione è una cosa inevitabile. E’ un dato di fatto inconfutabile. Da qui a dire che tutti i contenuti UCG siano di qualità, ne passa. La professionalità unita a competenze consolidate sono  asset fondamentali per l’emersione dell’eccellenze. Il fatto di possedere una telecamera HD e una buona idea non è sufficiente, di per sè, a fare di una persona qualsiasi un grande regista.
    La rete dà invece opportunità ai videomaker più talentuosi di poter mostrare al mondo il proprio estro sfruttando canali diretti alternativi al mainstream. Tessarolo di Current TV è stato molto chiaro: “Se il nostro palinsesto fosse formato solo da contentuti UCG puro, il nostro canale avrebbe chiuso i battenti nel giro di pochi mesi”
  • Futuro. Ainio è sicuro: “Tra 5 anni Google non avrà più il peso attuale, il suo ruolo di monopolista sarà fortemente ridimensionato”. Non sono certo un amante delle egemonie, ma mi è difficile (ora come ora) pensare a una riduzione della potenza di Big G.
    Se immagino internet come una casa, Google rappresenta sicuramente la porta, il gate di accesso privilegiato. Non solo. Sempre di più si sta riposizionando come un service provider a tutto tondo, continuando a sfornare prodotti di buona qualità, gratuiti ma non sempre utili (vedi Wave).
    Facile capire come ci possa riuscire: Google possiede il futuro. Ogni giorno raccoglie, analizza e gestisce una quantità di informazioni provenienti da una massa critica così estesa in grado di tradurre i miliardi di ricerche in insights di mercato. Prima degli altri, meglio degli altri. Difficile pensare ad un competitor di tale entità.

Morale della favola? Come al solito IAB forum è stato un momento per fare un punto della situazione e alimentare qualche considerazione personale.
Non porto a casa nessuna certezza, ma non era questo il mio scopo.
Sarei già contento di farmi le domande giuste 🙂

Ah, dimenticavo. Ovviamente tutta la due giorni è stata costantemente protagonista sui social network. Uno per tutti Twitter, con l’hashtag #iabforum09