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Twitter, 5 consigli per capirlo (e cominciare ad usarlo)

Twitter chiuderà il 2014 con quasi 300 milioni di utenti attivi dichiarati  (anche se ultimamente la crescita di Instagram sta preoccupando i vertici dell’azienda di San Francisco). Siamo sempre lontani dai numeri di Facebook, ma di certo Twitter non si può più considerare un social media per pochi.
Da piattaforma di nicchia è rapidamente cresciuta per numero di utenti, fino a diventare il canale di comunicazione preferito da molti Vip, Brand e aziende.

Il mondo dell’informazione è stato uno dei primi ambiti dove Twitter ha trovato terreno fertile. Le testate giornalistiche ne hanno capito fin da subito il potenziale, grazie alla sua possibilità di rilanciare news in tempo reale.

Con un po’ di ritardo, un po’ per inesperienza un po’ per paura del “nuovo”, ultimamente anche la maggior parte dei giornalisti si sono decisi ad aprire un accunt Twitter e ora lo usano quotidianamente per dare visibilità ai loro articoli e per fare personal branding.

Come Social Media Editor in una redazione, ho avuto più volte il piacere di rispondere a domande che mi sono state rivolte dai giornalisti sull’utilizzo di Twitter.
Condivido qui sul blog le risposte che ho dato. Sono dei semplici consigli, dettati dal mio utilizzo quotidiano di Twitter. Sono indicazioni generiche e quindi applicate da tutti, sia da chi utilizza Twitter personalmente, sia da chi lo utilizza professionalmente

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Social media editor: oltre al tweet c’è di più

Se vi dico Social Media Editor cosa vi viene in mente? Sono certo che se ponessi questa domanda qualche dirigente (anche di aziende medie e grandi) il più delle volte sentirei risposte come: “E’ il ragazzo che rilancia i nostri comunicati su Twitter e Facebook”.
In realtà questa semplificazione banalizza il lavoro del Social Media Editor, ruolo che sta diventando sempre più centrale all’interno delle aziende.

Jeremy Stahl, Social media editor del sito Slate dal lontano (!) 2010, aveva dichiarato: [blockquote source=”Jeremy Stahl, Social media editor di Slate”]Twitter e Facebook sono diventati strumenti molto più potenti per ottenere traffico verso i siti ed è quindi fondamentali sfruttarli al meglio per migliorare la qualità del traffico del sito e la soddisfazione dei lettori.[/blockquote].

Non è possibile dare una definizione esaustiva del Social media editor, un ruolo che deve adattarsi al contesto dentro al quale è inserito. In alcuni casi, il Social Media editor si occupa di creare e far crescere nuovi canali comunicativi, in altri casi è impegnato a monitorare le menzioni del Brand per il quale lavora sui social media e si inserisce all’interno delle conversazioni.

DigiDay ha deciso di contattare alcuni Social media editor selezionati a partire dalla realtà in cui lavorano: alcuni di loro fanno parte di staff editoriali di testate storiche, altri invece sono inseriti in contesti nati negli ultimi anni e che svolgono la loro attività solo in rete. Lo scopo è quello di sfatare alcuni “miti” relativi alla figura del Social media editor.

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Social Media e Online Newsmaking: la presentazione

Giovedì pomeriggio ho avuto il piacere di parlare per circa quattro ore a ventina di giornalisti e aspiranti tali nel corso di una Summer School organizzata dall’Almed dell’Università Cattolica di Milano.
La scuola di formazione, della durata di una settimana, ha come titolo: “Online Newsmaking. Tecniche e strumenti di progettazione e sviluppo di un newsmagazine in Internet“.

A me è stato affidato il modulo riguardante i rapporti tra le testate giornalistiche e social media. Ho cercato, per quanto possibile, di dare loro un quadro generale dell’ecosistema complesso dei social media, di come internet sia stato e sia tutt’ora uno strumento democratico di diffusione dell’informazione e di come le piattaforme sociali siano degli ambienti con dinamiche totalmente diverse da quelle dei media tradizionali.

Non sono mancate indicazioni pratiche e piccoli consigli per cominciare subito a pubblicare materiali sui più utilizzati e noti canali come Twitter, Youtube, Facebook e Flickr.

Grazie a tutti i ragazzi che hanno avuto la pazienza di ascoltarmi e grazie per gli interessanti scambi di battute durante lo speech, la pausa caffè e il post-intervento! 😉

Per tutti loro (glielo ho promesso 🙂 ) e per tutti gli altri interessati metto disposizione le slide che ho preparato. Sono più di 150…armatevi di pazienza e se riuscirete a superare la cinquantesima mi riterrò onorato.

I commenti, non sto neppure a dirlo, sono a vostra disposizione.

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Social network ed email marketing insieme per aumentare le conversioni

Legare campagne di comunicazione sui social media alle attività più datate ma sempre attuali di email marketing non è certo cosa nuova. Gli uomini di marketing da tempo hanno capito che le due modalità di contatto possono interagire diventanto l’una il sostentamento dell’altra.

Il motivo di questo connubio è immediato: sia i social network che le email offrono alle aziende canali di contatto diretto verso i propri interlocutori. A trarne i maggiori benefici sono le realtà medio piccole, le quali da un lato non sono in grado di spendere forti budget per articolare una campagna di comunicazione su mezzi ben più costosi e dall’altro, solitamente, hanno forti capacità di adattamento e apprendimento verso qualsiasi forma di comunicazione di frontiera con costi tendenti allo zero. Le piccole realtà devono necessariamente crearsi le proprie nicchie: piattaforme social e mailing list accuratamente selezionate sembrano prestarsi perfettamente allo scopo.

Tuttavia il continuo affermarsi dei social network come catalizzatori di visite da parte degli utenti, ha spinto gli imprenditori a ripensare alle sinergie tra email e social network, ridistribuendo gli equilibri delle varie iniziative al fine di massimizzarne i risultati.

eMarketer ha recentemente pubblicato dei dati riguardanti proprio le tattiche di integrazione tra email e social media che le PMI d’oltre oceano hanno messo in atto tra il 2009 e il 2010. Nell’immagine qui sotto è possibile confrontare il peso delle diverse attività confrontate sulla distanza di un anno. Le differenze sono notevoli.

Social Media e email Marketing

Alcune considerazioni:

  • In generale molte più aziende hanno cominciato a lavorare in modo strategico sui social network. Ne è controprova la caduta netta della percentuale che ha dichiarato di non fare nessuna azione di integrazione: 31,87% nel 2009, 12,66% nel 2010
  • Nel 2009 la maggior parte degli Small Businesses americani (36,01% ) era solito diffondere le pubblicazioni delle newsletter sfruttando la capillarità di Twitter, nel 2010 questa pratica è stata scavalcata dall’inserimento di form di registrazioni direttamente sulle pagine aziendali aperte sui social network (Facebook primo fra tutti). Nell’ultimo anno sono 54,12% che hanno messo in atto questa tattica.
  • Regge bene la soluzione di diffondere i post del blog aziendale tramite le mailing list, facendo però segnare un +11,77% dall’anno scorso a quest’anno.
  • Quasi la metà delle imprese ha inserito nelle newsletter gli ormai onnipresenti pulsanti di share. Un anno fa solo il 13,10% lo faceva, ora sono quasi la metà 43,89%

In generale, quindi, cresce la fiducia verso una sempre più stretta collaborazione tra le due metodologie di contatto e l’impressione è che, attraverso una presenza costante sui social media, le imprese possano far crescere in maniera sensibile le dimensioni delle mailing list, aumetando i tassi di conversione a supporto del propri business.
In più, la qualità media dei contatti non può che aumentare perchè le persone che sono arrivate a visitare una determinata pagina aziendale hanno già, implicitamente, dimostrato interesse verso quel Brand o quel prodotto. Il potere di scegliere in modo autonomo e convinto quali comunicazioni seguire investono l’utente del ruolo di protagonista e non più di semplice destinatario della comunicazione. Il contatto con l’azienda e le propria audience avviene in territorio neutro, quello dei social network, delegando ad un piattaforma imparziale (e quindi più credibile) l’anello di congiunzione del rapporto.

In una fase in cui è sempre più difficile che gli utenti siano fidelizzati verso il sito di una marca o di un prodotto, diventa centrale ed importante proporsi in modo corretto nei luoghi che gli utenti stessi hanno eletto a spazi di espressione e nei quali riescono ad essere protagonisti. Le aziende, se intendono costruire una relazione con i propri referenti, devono farlo sommessamente e in punta di piedi, abbandonando logiche di predominanza comunicativa, ma inserendosi in modo intelligente nei flussi relazionali degli utenti.
La vera sfida da parte dell’azienda è farsi percepire come uno dei tanti elmenti indispensabili alla costruzione dell’identità della persona, sfruttando una logica delle proposta a scapito di quella basata sull’imposizione.

Quando (e se) questo valore verrà percepito, allora il legame che l’azienda avrà costruito sarà fortissimo perché l’importanza del Brand sarà così determinante nel “racconto” di una persona da non poterne più prescindere per capirne l’essenza. Apple, ad esempio, l’ha già capito e i risultati si vedono.

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Youtube è il social network più bloccato al mondo

OpenNet Initiative si è occupata di mappare il grado di controllo e censura sui Social Networks di diversi Paesi nel mondo. Sul loro sito è presente una mappa interattiva che permette di selezionare il social network e vedere quali stati hanno intrapreso politiche di censura dei contenuti, in modo parziale e totale.
Potete vedere quella relativa a YouTube qui sotto.

Censura Youtube nel mondo
Stati che censurano Youtube nel mondo

Mettendo a confronto le varie mappe tematiche è risultato essere YouTube il social network che può vantare il record negativo con ben sette Stati al mondo che ne impediscono alla popolazione l’accesso completo: Tunisia, Libia, Turkia, Siria, Iran, Turmekistan e Birmania. Teoricamente ce ne sarebbe un ottavo, la Corea del Nord ma la ricerca di OpenNet Ititiative precisa:

“ONI has been unable to test in North Korea, but sources indicate that the government only permits citizens to access a small, tightly controlled list of websites.”

Poi ci sono alcuni Paesi che potremmo definire “controllati” dai propri governi che filtrano in modo diretto i contenuti che la popolazione può raggiungere all’interno della piattaforma di video sharing.
Tra di essi sono presenti degli Stati insospettabili come Germania e Regno Unito che si sono sempre distinti per una politica a sostegno dell’accesso alla rete. Come mai allora sono stati catalogati come paesi nei quali YouTube “…is intermittently or partially blocked” ?

Lo studio riporta che in entrambi i casi i Governi hanno deciso di limitare l’accesso ai video per delle dispute legali con i rispettivi Istituti incaricati di tutelare i diritti d’autore degli artisti; l’equivalente della SIAE italiana.

Nello specifico, queste le spiegazioni:

  • Germania: “ONI testing found no evidence that YouTube is blocked in Germany, but in 2009 YouTube temporarily blocked access to all music videos on the site during a dispute with GEMA, the organization charged with collecting German artists’ royalties.”
  • Regno unito:
    ONI testing found no evidence that YouTube is blocked in the United Kingdom, but in March 2009 YouTube temporarily blocked access to music videos during a dispute over licensing with the Performing Rights Society.”

Il video, dunque, fa più paura dei cinguettii di Twitter, delle foto di Flickr o dei contenuti che popolano Facebook.

|Via|