OpenNet Initiative si è occupata di mappare il grado di controllo e censura sui Social Networks di diversi Paesi nel mondo. Sul loro sito è presente una mappa interattiva che permette di selezionare il social network e vedere quali stati hanno intrapreso politiche di censura dei contenuti, in modo parziale e totale.
Potete vedere quella relativa a YouTube qui sotto.
Mettendo a confronto le varie mappe tematiche è risultato essere YouTube il social network che può vantare il record negativo con ben sette Stati al mondo che ne impediscono alla popolazione l’accesso completo: Tunisia, Libia, Turkia, Siria, Iran, Turmekistan e Birmania. Teoricamente ce ne sarebbe un ottavo, la Corea del Nord ma la ricerca di OpenNet Ititiative precisa:
“ONI has been unable to test in North Korea, but sources indicate that the government only permits citizens to access a small, tightly controlled list of websites.”
Poi ci sono alcuni Paesi che potremmo definire “controllati” dai propri governi che filtrano in modo diretto i contenuti che la popolazione può raggiungere all’interno della piattaforma di video sharing.
Tra di essi sono presenti degli Stati insospettabili come Germania e Regno Unito che si sono sempre distinti per una politica a sostegno dell’accesso alla rete. Come mai allora sono stati catalogati come paesi nei quali YouTube “…is intermittently or partially blocked” ?
Lo studio riporta che in entrambi i casi i Governi hanno deciso di limitare l’accesso ai video per delle dispute legali con i rispettivi Istituti incaricati di tutelare i diritti d’autore degli artisti; l’equivalente della SIAE italiana.
Nello specifico, queste le spiegazioni:
- Germania: “ONI testing found no evidence that YouTube is blocked in Germany, but in 2009 YouTube temporarily blocked access to all music videos on the site during a dispute with GEMA, the organization charged with collecting German artists’ royalties.”
- Regno unito: “
ONI testing found no evidence that YouTube is blocked in the United Kingdom, but in March 2009 YouTube temporarily blocked access to music videos during a dispute over licensing with the Performing Rights Society.”
Il video, dunque, fa più paura dei cinguettii di Twitter, delle foto di Flickr o dei contenuti che popolano Facebook.
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