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Quando lo capiremo?

“The opposite of play isn’t work. It’s depression.”

Brian Sutton-Smith

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Thank You All

Thank You

L’emozione rischia di annebbiarmi i pensieri e di farmi perdere in mille inutili sprolocqui.

Quindi evito voli pindarici e passo subito al sodo. Si conclude con oggi la mia esperienza professionale all’interno di O-One, digital agency con cui ho collaborato dal primo novembre scorso.
matteogalli.com non è certo il luogo adatto per raccontare  ciò che mi porterò dentro per i mesi trascorsi qui, ma si tratta pur sempre di un blog personale ci tengo particolarmente a tenere traccia di questa piccola pietra miliare della mia storia professionale.

Sento di poter dire di essere cresciuto un po’, umanamente e professionalmente, soprattutto grazie alle persone con le quali ho avuto il piacere di lavorare e per le quali nutro una grande stima.

In questi mesi ho avuto la conferma, ancora una volta, di quanto le persone che ti affiancano influenzino enormemente il risultato del proprio lavoro. Affrontare la quotidianità dell’ufficio con il sorriso e la voglia di mettersi in gioco è un grande fortuna. Non so in quanti possano dire di affrontare così le proprie giornate. Purtroppo trovare un clima del genere all’interno degli ambienti di lavoro non è per niente scontato, anzi.
Si ha spesso l’impressione che ci si debba curare poco di come siano i colleghi che condividono l’ufficio con te. Alla fine si tratta di lavoro: una volta chiusa la porta dietro di sè si resetta tutto e si pensa ad altro. Certo, ma quando la mattina dopo bisogna alzarsi per tornare in ufficio, è bello sapere che si condividerà un’altra giornata in compagnia di persone interessanti, stimolanti e competenti.
Qui, a dire il vero, ho trovato molto di più di quello che mi sarei aspettato.

Grazie a tutti, ragazzi!

Malgrado il periodo, niente ferie. Da lunedì si comincia subito un’altra avventura tutta da costruire e piena di sfide da affrontare. Ma questa è un’altra storia e ne parleremo tra qualche giorno…

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Powerpoint può uccidere


Powerpoint può uccidere

E’ in rete da molto tempo ma oggi mi è tornata in mente tramite una discussione su FriendFeed .

Se dovessi pensare che per ogni presentazione che preparo con Powerpoint un gattino venga ammazzato, dovrei cominciare a prendere in seria considerazione l’ipotesi di cambiare lavoro.

Ad ogni modo una soluzione c’è (e a dir la verità sto cominciando ad utilizzarla con costanza): passare a Keynote 🙂

Voi che programma preferite? Ce ne sono anche altri oltre a questi due che vi sentireste di consigliare?

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8 regole per una presentazione vincente

8 regole per una presentazione vincente

Arrivate nell’ufficio del cliente, estraete il vostro notebook, lo collegate al video proiettore, state per cominciare la vostra presentazione. La tensione è alta, avete passato settimane a curare ogni parola, ogni immagine, ogni margine, cambiando più volte la scaletta delle slide fino a trovare l’alchimia perfetta. Avete la certezza di poter stupire tutti con la vostre idee sul progetto web che state proponendo.

Siete sicuri di aver curato tutto nei minimi dettagli? Oggi vi regaliamo 8 (fare le solite “dieci regole” ci è sembrato un po’ troppo inflazionato”) semplici trucchi per rendere le vostre presentazioni efficaci.

  • Andate oltre. Per ottenere una presentazione che possa lasciare chi vi ascolta senza parole non è sufficiente preparare una serie di slide che si alternano con transizioni mozzafiato. Occorre stupire, facendo vedere che sapete andare oltre i grafici e le frasi ad effetto che state proiettando. Studiate, documentatevi, siate sempre aggiornati.
  • Evitate l’overload informativo. Dare troppe informazioni porta con sè almeno due aspetti negativi: innanzi tutto rende nulla la vostra presenza (se tutto quello che dovete dire è scritto nelle slide, cosa presentate a fare?). In secondo luogo escludete la possibilità di aprire un dialogo con i vostri interlocutori, saltando a piè pari la fase più stimolante e costruttiva.
  • Allenatevi a presentare. Alcune persone hanno una propensione naturale al public speaking, riuscendo a catturare l’uditorio semplicemente con la gestualità o con il ritmo usato per scandire le parole. Se voi non siete tra questi fortunati, allora è il caso che vi alleniate per migliorare la vostra esposizione. Evitare noiose ripetizioni ed eliminare le pause snervanti tra una parola e l’altra è il primo passo verso la gestione della presentazione.
  • Evitare la comicità. Non siete Steve Jobs, i vostri interlocutori non pendono dalle vostre labbra per il solo fatto che state parlando. E, soprattutto, non si aspettano di divertirsi ascoltando le vostre parole. Pretendono solo di capire in modo chiaro quello che avete da dire. Evitate quindi battute forzate (stiamo parlando di presentazioni aziendali o no?) e cercate di mantenere sempre un tono professionale.
  • Proponete esempi solo quando servono davvero. A volte spiegare un concetto grazie ad un esempio è davvero illuminante e sottolinea la veridicità delle cose che state esponendo. L’importante è non abusarne, altimenti rischierete di passare per una persona non troppo sicura di ciò che afferma.
  • Mettete al centro chi vi ascolta. Ehi, non penserete di essere i protagonisti della presentazione, vero? Quando esponente un nuovo progetto siete come un sarto che sta confezionando un abito. Avete in mente i colori, scelto il materiale, individuato gli accessori, ma le misure non le dovete prendere su di voi, ma sul vostro cliente. Il vestito è per lui. Voi siete al loro servizio, non il contrario.
  • Parlate chiaro. Ok, siamo d’accordo che alcuni termini in English, facciano la loro bella figura. Ma siete certi che chi vi ascolta stia capendo tutto perfettamente? La maggior parte delle volte è proprio qui che si decide il successo e il fallimento di una presentazione: più riuscirete a farvi capire, più sono alte le possibilità di avere un feedback positivo.
  • Viva la semplicità. Alla sola pronuncia di “Powepoint” ad alcuni dirigenti viene la pelle d’oca. Se proprio non potete farne a meno cercate perlomeno di farcirle il meno possibile di testo ed usate il visual in modo intelligente. Se invece volete non passare inosservati, beh, seguite il primo punto di questo elenco e stupite chi vi ascolta con qualche trovata fuori dalle righe.
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Digital Strategist: che vor dì?

Digital strategist
“E tu, che lavoro fai?”

Spesso mi viene rivolta questa domanda. A dire il vero spesso questa domanda me la rivolgo io stesso.
Sarà gioventù, sarà inesperienza, sarà un po’ quello che volete, sta di fatto che non è sempre semplice descrivere a qualcuno il lavoro che faccio.

Quindi mi sono permesso di riprendere un post di un blog appena nato che si è preoccupato di mettere nero su bianco alcuni paletti per capire un po’ meglio quali sono (o dovrebbero essere) le mansioni del mio lavoro, cioè quello di un Digital Strategist.

Digital Strategic Planner. Che accidenti è?

Intro: ha senso differenziare tra Planner “analogici” e Digitali?

Probabilmente no. In un mondo ideale ci dovrebbero essere planner, per così dire, olistici.

D’altra parte tocca essere pragmatici: non tutte le agenzie sono integrate. In tutte quelle agenzie che fanno solo il digitale, ha allora senso parlare di un Digital Strategic Planner.

Con tutti i limiti e le cautele del caso.

Che cosa Fa un Digital Strategic Planner

Conosce il mercato

Si occupa di studiare fenomeni, trend, dati – e di fare condivisione di questa conoscenza con le altre persone del team e i clienti.

Conosce le nuove tecnologie, applicazioni, siti… sa cosa sta succedendo, cosa è “hot”, cosa è “tired”, cosa è emergente. In collaborazione con il resto del team (e con il suo network sociale) monitora, osserva l’evoluzione di siti e servizi, anticipa quali potrebbero essere gli scenari del prossimo futuro.

Sa, come tutto il team, cosa si può fare e cosa no e aiuta il team a gestire le aspettative del cliente, a spiegare quello che è possibile in rete, quello che rischia di diventare un boomerang in termini di immagine e relazione…

Conosce le persone

Conosce le persone e il loro rapporto con la Rete. Perché è uno di loro. Ma si rende conto che se lui è uno specialista del digitale, la maggior parte delle persone in Rete sono diverse da lui. Identifica (passatemi il termine) i target, i cluster di persone con cui si deve parlare, le analizza, le capisce, comprende le loro motivazioni. In qualche modo è uno psicologo della Rete.

I planner “tradizionali” sono spesso abbastanza esperti di ricerche di mercato. Nel digitale forse basta che il DSP si trovi a suo agio con dati e ricerche, abbia la capacità di trovare le informazioni (gratis o a pagamento), abbia know-how e conoscenza aggiornata.

Infine, conosce un sacco di gente, e sa a chi chiedere quell’informazione difficile da trovare ;-)

Si occupa di strategie

Ma cosa sono le strategie? Sono i percorsi per arrivare, partendo dallo stato attuale, ad uno stato desiderato futuro, con i limiti imposti dal brief, dall’ambiente etc. rispetto al proprio pubblico.

Si tratta dunque di definire, dato l’obiettivo che il cliente (o il planner stesso) ha posto, capire attraverso quali strumenti, meccanismi, messaggi arrivarci. Condividendolo col team, col cliente, dando in pasto ai creativi la strategia perché sia la piattaforma su cui costruire la creatività delle operazioni. O perché i creativi smontino la strategia e partendo da questa, tutti insieme, si arrivi a qualcosa di ancora più intelligente ed efficace.

Pensa alla marca?

In linea di principio sì: ma in realtà in Rete conta di più quello che fai che la costruzione di Powerpoint da 80 slides sulla piattaforma strategica di marca… Sicuramente deve capire cosa può e deve fare la marca online (e fuori) per raggiungere i propri obiettivi, che il DSP aiuta a settare, se necessario.

Collabora con il Planner “Analogico”, se c’è. Ma soprattutto è focalizzato a capire come la marca può agire. Una marca che ha il set di valori perfettamente a posto ma che non si muove in Rete, è una marca morta.

Identifica gli strumenti

Anche se naturalmente anche i creativi vedono immediatamente le possibilità di espansione di un’idea su vari canale, il DSP identifica dall’inizio quali mezzi e strumenti sono i più adeguati, dati gli obiettivi del progetto e la sua soluzione strategica.

Passa il brief al team

Idealmente conduce (con l’account o il contatto cliente) il primo brief al team, ripulendo il brief ricevuto dal cliente (se c’è, se no collabora a scriverlo), spiegando con il linguaggio, la cultura dell’agenzia quello che il cliente vuole, traducendo se necessario il linguaggio del cliente. Insieme all’account, il DSP dovrebbe fungere da ponte tra i due mondi, per migliorare la comunicazione.

Genera idee

In collaborazione con i creativi e sulla base delle strategie formulate, genera idee, spunti, proposte da condividere con il team, contribuisce a fornire starter creativi.

Ibrida le idee

In un percorso inverso, partendo da idee di altre persone del team, genera nuove idee, combina idee diverse.

Allarga le idee, aiuta a definire l’Experience

Partendo da una idea su un singolo strumento, collabora a estendere il concetto ad una attività più integrata su altri strumenti. Da un’idea per un sito arriva ad integrare al parte Social, Viral, operazioni di engagement…

Qui si apre la questione delicata delle competenze. In un mondo che si fa sempre più integrato, sarebbe auspicabile che fosse in grado di vedere come combinare la comunicazione tradizionale con quella digitale, avendo quindi delle competenze anche sul primo fronte. E data l’importanza di engagement, ambient, unconventional, buzz… fosse in grado di dare un contributo anche in questi campi, in assenza di specialisti nel team (di questi tempi e con questi budget, difficile averli normalmente a bordo). Pensa a 360°, in 3D.

Tiene in riga il team?

In alcuni modelli, forse si. Non dal punto di vista operativo (ci pensa il Project Manager?) ma da quello strategico. E’ il responsabile che quello che le altre persone pensano e sviluppano sia coerente totalmente con la strategia che è stata decisa, condivisa, approvata.

Detto questo, qui la faccenda si fa politica. Quindi, dipende.

Fa la mappa del sito? Si occupa di information architecture?

A livello di primo impianto sicuramente ci lavora. Lavora alla stesura del primo concept, a livello macroscopico, le grandi aree. A seguire dipende se nel team ci sono dei Content Specialist o Content manager… con cui però deve collaborare per definire come i contenuti fluiscono nel tempo, come contribuiscono alla marca e al raggiungimento degli obiettivi…

E’ uno specialista di Social Media?

Deve conoscere abbastanza bene questo mondo, visto che è estremamente di moda e i clienti lo chiedono a gran voce. Domani arriverà qualcos’altro e lo DSP dovrà diventare esperto anche di quello. Insomma, deve essere un esperto, per quanto possibile, di tutto quanto è digitale.

Fa formazione

Strettamente parlando, forse non dovrebbe. Da un punto di vista pragmatico, per le sue conoscenze e l’esperienza in trincea, è una delle persone meglio posizionate per fare training ai clienti, spiegandogli come va questo mondo (quando necessario) e settando quindi le loro aspettative. Dove oportuno, ovviamente, perché non farlo anche all’interno dell’agenzia?

Comunque è meglio sia capace a presentare in pubblico: certe cose (tipo le strategie) forse è meglio che le presenti lui al cliente, no?

Misura

E’ la persona in grado di valutare e misurare il grado di efficacia delle attività, maneggiando numeri, dati, risultati, output. E di sintetizzarli in firma comprensibile per il team e il cliente.

Naturalmente, come per molti altri skills qui elencati, agenzia per agenzia può essere qualcun altro ad avere la capacità e/o il ruolo di fare questo tipo di lavoro…

Che cosa è, come è il Digital Strategic Planner

Il DSP pensa ai problemi, non alla creatività

il Digital Strategic Planner ha esperienza e sensibilità, ed è creativo. Mentre i “creativi” tendono (o dovrebbero tendere?) a vedere la soluzione del problema più dal lato della grande idea, della soluzione grafico/tecnologica, della bellezza (attenzione: dico più, non solo), il DSP dovrebbe approcciare il progetto più dal lato della generazione di idee per risolvere i problemi della marca, raggiungere gli obiettivi del cliente.

E’ un generalista

Lavora con tutti il team e capisce un po’ di tutto, agisce da collante fra le varie funzioni non in termini di gestione del progetto ma in termini di ibridazione delle idee, per valutare come le proposte di ogni singola funzione del team contribuiscano o meno alla coerenza strategica del progetto e contribuisce nel caso al fine tuning della creatività, tecnologia, integrazione tra strumenti…

E’ evidente che in un mondo ideale forse avremmo tanti specialisti che curano queste sfaccettature, diventando esperti nel proprio campo. In realtà da un lato la proliferazione di specialisti porta alla creazione di team enormi, pachidermici, a riunioni interminabili, al rischio di dilatazione dei tempi e riduzione dei risultati del progetto. D’altra parte, di questi tempi, non ci sono i budget per mettere tante persone a pensare su progetti spesso scarsamente remunerati.

Il DSP rischia di diventare allora un jolly. Ed è inevitabile.

Capisce di Business?

E’ importante che capisca come funzionano i clienti, cosa hanno in testa, quali sono i loro problemi, come funzionano i mercati.

La storia di tutta la comunicazione insegna che i più grandi disastri li hanno fatti persone che non sono mai state un giorno in azienda, non capiscono i problemi dell’azienda, le necessità, come funziona. Al di là dei problemi relazionali che questo comporta (si parla la stessa lingua, non si ha un territorio comune), nel settaggio delle priorità è sempre in agguato il rischio che i comunicatore ritenga che l’unica cosa importante sia la comunicazione (digitale), non capendo quanto è importante fare vendite, distribuzione, efficienza, rapidita… tutte cose che non portano a fare dei bellissimi siti ma che sono campi d’azione straordinari per il digitale, il web marketing eccetera eccetera.

I clienti lo sanno e sono lieri di cambiare agenzia se questa non porta miglioramenti al loro business (attenzione, ho detto business, non immagine).

E’ uno sperimentatore

In primis deve restare aggiornato, studiare, sperimentare. Non si può creare una operazione su Facebook senza averci vissuto dentro per un po’… di certo essere appassionati di digitale aiuta molto ad essere dei bravi operatori in questo mercato.

E’ obiettivo

Sa riconoscere cosa è solo una moda e cosa è importante, quanta parte del buzz e dell’hype hanno senso e quanto no. Non è arrogante e sa che non esistono verità assolute, ma che la risposta è sempre dipende. E che cliente per cliente la soluzione è differente. Non fa piani fotocopia.

Sa che può sbagliare e che possono essere altri membri del team ad avere l’idea giusta anche in termini strategici. Sa che il Social, il Buzz, il Viral…non sempre sono la risposta giusta per tutti i problemi. A volte non lo è nemmeno il Digital. O la comunicazione.

E’ uno che dorme quattro ore per notte

Se deve fare tutto quello che c’è nella lista…

E, per farci quettro risate, le cose che il DSP non dovrebbe fare…

Non fa Project Management

Non scrive i testi

Non fa l’account

Non si occupa di tecnologie

Non si occupa di registrarti i domini

Non porta il caffé

Non si occupa di usability, Accessibility.. a meno che non sia per passione, va benissimo, ma dovrebbe essere qualcn altro ad esserne responsabilie in azienda

Non pianifica i media (quello è un Digital Media Planner? Se poi qualcuno porta più di un cappello buon per lui, specialmente se lo pagano in relazione al numero di mestieri che fa) – qui va detto che in molti annunci di recruitment per Digital Planner si intende proprio uno capace di pianificare e comprare spazi, banner…