Hans Zimmer: “All the music in the score is subdivisions and multiplications of the tempo of the Édith Piaf track. So I could slip into half-time; I could slip into a third of a time. Anything could go anywhere. At any moment I could drop into a different level of time.” (NY Times 28.07.2010)
Trovo sul blog di Alberto e ripubblico. Impressionante, c’è poco da dire.
Dopo averlo visto, però, mi sono fatto alcune domande: che fine fa l’interpretazione del regista nel video?Dove mettiamo il particolare punto di vista e stile narrativo che contraddistingue il suo mestiere? Lo spettatore vuole davvero diventare protagonista assoluto della storia? Non preferisce, forse, farsi accompagnare attraverso le diverse inquadrature, appositamente scelte per uno scopo e per suscitare una determinata emozione?
Il video qui sopra segna sicuramente una svolta rispetto al passato. C’è qualcuno che sceglie la location, gli interpreti e la situazione; trama, scoperta ed immersione nella narrazione è lasciata totalmente allo spettatore. Che poi, chiamare spettatore chi può cambiare la sua posizione nella scena a proprio piacimento, è veramente riduttivo.
Sono però convinto di una cosa: questo tipo di video avrà molto successo in campi quali edutainment (pensate a cosa potrebbero essere i documentari visti con questa tecnica), sport (altro che spidercam di Sky) e eventi live ( essere sul palco al fianco della nostra band preferita non sarebbe male, no?).
Credo però (e spero) che l’immersività che offrono tecnologie come questa non arrivino mai a sostituire l’occhio dietro la macchina da presa di un film. Nei film l’uomo non cerca la realtà, l’uomo vuole sentirsi raccontare una storia da qualcuno che la sa ben spiegare.
A mio avviso non c’è tecnologia, neanche quella più avanzata, che si possa sostituire all’intuito, alle sfumature e alla profondità di una narrazione di quanto possa fare un uomo dietro una macchina da presa.
Sono appena tornato dalla visione di Up, film di animazione Disney-Pixar nelle sale italiane da qualche giorno (qui il sito ufficiale e qui recensione/opinioni su FilmUP).
Devo dire che sono stato positivamente colpito dalla pellicola: non è il solito cartone animato costruito ad hoc per le risate dei più piccoli; anzi, secondo me è stato ideato per un target molto più elevato.
I livelli narrativi, le metafore e la sceneggiatura sono ben più complessi di altri titoli dello stesso genere. Ma non voglio dilungarmi troppo su questo aspetto, meriterebbe un post a parte.
Ciò che mi ha colpito (e che ho deciso di pubblicare qui sopra) è stato il corto proiettato prima dell’inizio vero e proprio del film, Partly Cloudy.
Una storia di amicizia in 608 secondi, a mio parere molto ben riuscita. Voi che dite?
Ieri sera in compagnia di Raffy sono andato a vedere il nuovo film di Jim Carrey, Yes Man. Tante risate con applauso annesso alla fine del film, cosa alquanto insolita negli ultimi tempi…
Commedia godibile e di buon ritmo che esalta le capacità camaleontiche di Jim Carrey di interpretare al meglio tutte le sfumature del personaggio. Lo consiglio a tutti quelli che vogliono passare un’oretta e mezza di risate.
Qui di seguito il trailer ufficiale del film seguito dalla recensione completa trovata sul sito MyMovies.it
Carl Allen è un impiegato divorziato orgogliosamente chiuso nella sua solitudine e insensibile alle richieste altrui. I clienti gli chiedono un prestito e lui lo nega, gli amici gli chiedono compagnia e lui si tira indietro, cercando di farsi bastare un dvd sul divano. Si protegge dai colpi che la vita gli ha dimostrato di saper sferrare, ma quanto altro si preclude così facendo? L’incontro con un ex collega lo convince a partecipare ad un seminario di “positività”, in cui il guru di turno lo esorta a rivoluzionare la sua vita rispondendo di sì ad ogni richiesta. Improvvisamente, si ritrova ad apprendere il coreano, a prodigarsi per un barbone, a presenziare alle feste a tema del capoufficio e ad accettare il passaggio in scooter di una sconosciuta di nome Allison. Carl dice sì all’amore per costrizione, in attesa di dire no alla costrizione in nome dell’amore.
Da qualche tempo, Peyton Reed tenta un rinnovamento della commedia, ibridandola con ingredienti di segno opposto, ma in Abbasso l’amore la strategia spegneva il romanticismo e il film soffocava, stretto nella sua stessa messa in scena, mentre in Ti odio, ti lascio, ti… avveniva l’esatto contrario e il killer assumeva il volto di un naturalismo fatalmente fuori luogo. Con Yes man, Reed fa centro, affidandosi ad un meccanismo sfornacomicità –l’obbligo, per il protagonista, di accettare l’inaccettabile- che garantisce la risata e mantiene sottotraccia tutto l’amaro che il regista era andato cercando per strade solo apparentemente più consone.
Questa volta, dunque, non manca la formula ma non viene meno il cinema, regno del possibile per eccellenza, della creazione di mondi a partire dal nulla, o da un sì. Nonostante la convention capitanata da Terence Stamp costituisca un innegabile punto debole nell’impalcatura motivazionale, talmente “di servizio” che di più non si può, la grandezza di Jim Carrey permette al suo personaggio di liberarsi in un attimo dalle maglie di un percorso troppo scritto: gli basta una smorfia, un sorriso tirato dei suoi, che sembrano voler dire “è tutta una presa in giro e io posso prendervi in giro meglio di chiunque altro” per far reagire commedia scenica e tragedia umana in modo esplosivo.
Nell’impasto di diverse tonalità del comico c’è, poi, il traguardo più difficile e più interessante: lo slapstick facciale del protagonista -che, invecchiato, è meravigliosamente “più scemo” e meno stupido- si scontra vantaggiosamente col ridicolo di Rhys Darby nel ruolo di Norm (nomen omen) e l’eccentrica tenerezza di Allison/Zooey Deschanel e dei testi della sua band, le Munchausen By Proxy. La scena all’Hollywood Bowl, invece, basta a colmare le lacune romantiche di un’intera filmografia.