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Ricerca e media sociali: nuovi spunti

workshop_cattolicaOggi ho avuto il piacere di partecipare (un grazie a Ivan Montis per l’invito) a un workshop tenutosi all’Università Cattolica di Milano e promosso da OssCom in collaborazione con diversi centri di ricerca italiani, tra cui il Politecnico di Torino e l’Università Sapienza di Roma. L’incontro ha avuto come tema principale le Pratiche Sociali e Ambienti Digitali.

Per un’intera giornata si è parlato delle nuove metodologie di ricerca che si stanno sviluppando per indagare in maniera sempre più approfondita il mondo dei media partecipativi. Ciascun intervento ha fornito un contributo con l’esposizione di esperienze pratiche di ricerca analizzando ambiti diversi dei media digitali:studio del fandom, consumi dei media giovanili, fruizione dei patrimoni documentali e culturali online,  Social Network.

Interventi molto diversi tra loro, ma tutti fonte di spunti interessanti: alcuni a livello generale sul rapporto tra ricerca e media partecipativi, altri più specifici perchè riguardanti contesti particolari.Ne riporto alcuni che mi hanno colpito particolarmente.

  • Fausto Colombo, direttore di OssCom, in apertura, ha sottolineato come la metodologia di ricerca sui media partecipativi debba essere ripensata in funzione dell’iperdimensionalità crescente che vede protagonista l’utente nella fruizione del mezzo, unito ad un sensibile aumento dell’esperienza, anche tecnica.
  • Mario Ricciardi del Politecnico di Torino ha definito le scienze sociali ancora troppo “prudenti”, non ancora mature ad affrontare con il giusto distacco critico le evoluzioni della Rete. Ha invitato perciò a considerare le tecnologie digitali come attori attivi di profondo cambiamento culturale e non più sterili strumenti a servizio dell’uomo.
  • Juan Carlos De Martin del Politecnico di Torino ha invece posto l’accento su aspetti come egemonia, privacy e asimmetria informativa. Prendendo Facebook come paradigma dei Social Network per la sua completezza e complessività, ha illustrato come queste piattaforme (e quella di FB in particolare), stiano diventanto sempre più “omnicomprensive”: email, IM, video/photo sharing sono servizi che ormai sono stati “embeddati” all’interno del singolo servizio. Ciò causa una distorta percezione che “stare su Facebook” equivalga a “stare su Internet”, concependo il Network come la totalità (o quasi) dell’universo digitale conosciuto. Questo è un rischio che corrono in particolar modo le persone agli inizi del proprio approccio con la Rete, a causa di un’immatura dimestichezza con il mezzo.
    De Martin ha fatto emergere anche la questione attuale sulla privacy dei dati inseriti su FB, focalizzandosi in particolar modo sulla dimensione proprietaria e temporale delle informazioni sensibili immesse dagli utenti. La gestione del proprio profilo e delle diverse attività esercitate sulla piattaforma, non permettono all’utente un controllo totale. In ultima istanza quindi, il vero “detentore” sostanziale (ma non legale) dei dati è Facebook, che in questo modo, in soli due anni, ha creato un database informativo da fare invidia persino alle più avanzate strutture di Intelligence internazionale.
    Ultima questione evidenziata da De Marten è come Facebook rappresenti un perfetto esempio di sistema locked-in. I profili creati dagli utenti, e “coltivati” con cura durante il periodo di attività sulla piattaforma, non possono essere in nessun modo esportati, per essere ad esempio ricostituiti all’interno di un altro Social Networ. L’utente dunque è una sorta di “prigioniero” della propria identità perchè vincolato da una serie di attività pregresse che non possono in nessun modo essere estratte e ricostituite altrove.
  • Sara Monaci dell’Università degli Studi di Torino, ha proposto un’insight sull’utilizzo del digitale per la promozione dei beni culturali. Purtroppo il risultato della ricerca ha dimostrato, non certo con molta sorpresa, un’arretratezza dell’interattività sui siti dedicati a musei o a opere d’arte, ancora troppo chiusi sotto una campana di autoreferenzialità che non permette la giusta apertura verso pratiche di condivisione, soprattutto basate sull’UCG. Ben diverse le esperienze all’estero, sopratutto oltreoceano. Qui e qui degli esempi.
  • Giovanni Boccia Artieri, dell’Università degli Studi di Urbino, ha cercato di ragionare invece ad un nuovo approccio metodologico sugli UGC. Un qualsiasi processo di studio pone la questione della riflessività, parametro che rischia di distorcere i risultati della ricerca che si sta effettuando. Boccia Artieri, in collaborazione con altri ricercatori, ha sviluppato un sistema di “ascolto” delle conversazioni in rete senza che queste venissero influenzate dalla presenza della figura del ricercatore. Attraverso vari strumenti di monitoring, tra cui Google Blog Search, il ricercatore ha selezionato tutte le discussioni della blogosfera che rispondessero ad un set di keyword predefinite su un tema specifico (emerse da un focus group) per poi condurre delle analisi qualitative e quantitative. Metodo sicuramene innovativo perchè per la prima volta permette di analizzare delle conversazioni spontanee tra i soggetti in rete.

Finisco ora di appuntare e neanche mi accorgo di quanto ho scritto. E’ stata sicuramente una giornata ricca di riflessioni interessanti che non si esauriscono certo nei punti che ho cercato di sintetizzare qui sopra.
L’importante, però, credo sia fissare i concetti principali, le intuizioni più sottili. Spero di esserci riuscito.

Di Matteo Galli

Classe '83. Le cassette prima le ho usate con un Commodore 64 e solo dopo in un Walkman. Connesso dal 1993, senza soluzione di continuità. Interista integralista. Apple addicted. Milanese di nascita. Partenopeo d'adozione.
Head of Communication in bSmart Labs e consulente di comunicazione digitale con particolare focus sui liberi professionisti e le micro imprese.