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Social network e le aziende italiane: un dialogo mancato

Twitter e aziende

Il ritardo delle aziende italiane sul piano tecnologico è cosa ben nota e si conferma tale anche per l’utilizzo di Twitter, la piattaforma di micro-blogging più famosa al mondo.

La lotananza delle imprese nostrane dal mondo dei social network trova conferma anche nell’ultimo rapporto redatto da Ludquist – società di consulenza strategica internazionale – che ha sottolineato come Twitter sia ancora sconosciuto alla gran parte della realtà industriale del Bel Paese.

Il comunicato che annuncia la ricerca esordisce chiaramente:

Italian companies have not yet discovered the power of Twitter with only eight of the country’s largest 40 companies using the social media site, according to new research released today by Lundquist.

Se negli Stati Uniti le aziende vedono nei social network il canale preferenziale di contatto con i clienti, in Italia è ancora diffusa la paura che queste piattaforme siano un passatempo e non asset importante per sostenere ed alimentare il business.
Dietro a questa diffidenza si nasconde la paura. Paura di gestire un luogo aperto, libero, dove il ruolo del protagonista è condiviso equamente tra brand e persone.
I pochi esempi italiani che utilizzano Twitter e gli altri social network, infatti, si rivelano ancora propensi ad una diffusione delle informazioni di tipo broadcast; il brand pubblica le news sui canali social senza mai sfruttarli per la loro peculiarità principale: il dialogo.
L’impressione è che alcune grandi imprese italiane che sono approdate a Twitter l’abbiano fatto senza coscenza del mezzo utilizzato, coltivando una presenza quasi obbligata, giusto per sentirsi al passo con i tempi.

Estendendo il discorso all’universo dei social network non esiste, o non è sfruttata adeguatamente, la possibilità di dialogo continuativo con le persone che ricevono queste comunicazioni. Se fino a qualche tempo la dualità era impedita dalla stessa natura della comunicazione, ora gli strumenti permettono il confronto ma le modalità di confrontarsi con il mercato restano le stesse.
E non è certo colpa delle persone che invece ricercando, anche se spesso in modo implicito, un dialogo con l’azienda, affollando forum, social network e blog con opinioni, suggerimenti e critiche verso prodotti o servizi.
Se prima dell’avvento del web il canale di feedback dei clienti era delegato all’atto dell’acquisto, con l’era del digitale si è aperto un nuovo spazio di scambio, forse più importante della vendita stessa. E’ lo scambio informativo, vero valore aggiunto per il brand ai giorni nostri.

L’apertura al confronto confronto, mindset culturale ancora prima che operativo, trova pochi interpresti almeno tra i nostri confini.
Esistono i casi d’eccellenza tra le grandi aziende ma si contano sulla punta delle dita di una mano.
Chi invece ha capito l’opportunità offerta dalle piattaforme social sono le start-up, piccole realtà imprenditoriali appena nate che vedono nel web uno spazio importantissimo di confronto e crescita, sfruttando le leve dell’interazione per modulare continuamente la propria offerta verso il mercato.
I piccoli imprenditori hanno capito che per “capire il mercato” è sufficiente confrontarsi con le persone che hanno una voce e che non sono più barre di un istogramma in un analisi di scenario.

Quale soluzione quindi per le grandi aziende?
Cambiare mentalità, aprirsi al confronto senza censurare le critiche che anzi diventano indicazioni da sfruttare per migliorarsi. Le persone saranno sicuramente disponibili perchè si sentiranno coinvolte e partecipi nella creazione di valore.
Comprendere che ciò che paga davvero è la qualità che si ha da offrire e non l’egemonia sulle proprie creazioni.
Le aziende, ora più che mai, possono spingersi dove non hanno mai osato: possono parlare con le stesse persone che poi compreranno i loro prodotti, sondare le loro richieste, valutare le critiche. Tanto le persone parleranno comunque delle aziende, che loro lo vogliano o mano. Tanto vale scendere nella mischia, mettersi al livello delle persone, e far valere le proprie posizioni.
Questo non significa perdere il controllo sull’identità della marca. Tutt’altro. Significa avere voglia di far crescere il brand insieme alle persone che già sono affezionate e lo conoscono a fondo, coinvolgendole affinchè esse stesse diventino promotrici.
Non necessariamente delegando loro l’ideazione di nuovi prodotti o servizi da immettere sul mercato, ma semplicemente dando loro voce e rispondendo prontamente ad ogni loro necessità.

Perchè, si sa, nell’era dei social network la diffusione passa attraverso un giudizio positivo, il “Mi piace”.

Di Matteo Galli

Classe '83. Le cassette prima le ho usate con un Commodore 64 e solo dopo in un Walkman. Connesso dal 1993, senza soluzione di continuità. Interista integralista. Apple addicted. Milanese di nascita. Partenopeo d'adozione.
Head of Communication in bSmart Labs e consulente di comunicazione digitale con particolare focus sui liberi professionisti e le micro imprese.