Capita (di solito) due volte l’anno ed è sempre la stessa storia. Non importa chi ha più punti o chi ha le motivazioni più forti. Il derby di Milano è una partita con una storia a sé dove le previsioni dei guru statistici lasciano il tempo che trovano. Nelle che precedono l’evento i tifosi di entrambi gli schieramenti si divertono a prevedere quale formazione scenderà in campo, a rammaricarsi o a godere per il numero degli infortunati della propria squadra o di quella avversa, a sperare che il proprio beniamino peschi dal cilindro una prestazione memorabile.
E poi ci sono i commenti sull’arbitro, che nell’italietta calciofila è accusato spesso di essere l’ago della bilancia; i più ferrati, quelli che hanno una memoria da almanacco, reciteranno a memoria tutti i precedenti del direttore di gara, con l’intenzione di dimostrare che gli avversari da battere in campo saranno 12 e non 11. Non importa chi sia stato designato, sarà sempre un arbitro avverso alla propria squadra e nettamente compiacente all’altra.
Ogni anno mi riprometto di avvicinarmi alla partita cercando di mantenere un maturo e responsabile distacco da tutto ciò. E ogni volta, puntualmente, ci ricasco. Non c’è niente da fare: per me (e per molti, molti altri) questa partita non è come tutte le altre. Neanche la coincidenza con la giornata elettorale è riuscita a diminuire un po’ il clima del pre partita. La tensione dovrebbe essere tutta dedicata all’attesa di capire quale strada vorrà prendere questo Paese. Eppure niente, a dire il vero (e me ne vergogno un po’), il dovere civico di andare a votare è l’ultimo impegno di questa giornata che mi separa dall’evento più importante della giornata di oggi.
Alle sorti dell’Italia torneremo a pensarci dalle 23 di questa sera. Prima non c’è tempo (né voglia).
L’unica cosa da fare è accomodarsi sul divano…fare un bel respiro e godersi lo spettacolo. Io mi preparo così.